GIANNI DI FRANCESCO

GIANNI DI FRANCESCO
Le geometrie di un mondo fantasmagorico

La premessa storica
Il superamento della figurazione intesa in senso tradizionale inizia nella seconda metà dell’Ottocento a partire dalle prime scomposizioni sia formali che cromatiche dell’Impressionismo e del Divisionismo. Agli albori del Novecento, la nuova maniera dell’arte si consacra definitivamente con la nascita dell’Astrattismo di valenza psicologica prima e, in seguito, di ricerca geometrica con l’avvento del pensiero rivoluzionario di Piet Mondrian, autentico patrono di un sistema espressivo di apparente linearità e ‘semplicità’ esecutiva senza precedenti. I celebri rapporti di proporzione fra quadrati e rettangoli unitamente alle campiture di colore puro, determinarono uno stilema compositivo che avrebbe cambiato per sempre l’arte moderna, dalle affermazioni futuriste, dadaiste, surrealiste e optical fino ai giorni nostri, pervasi dalle nuove frontiere del linguaggio tecnologico sia della grafica che della pubblicità.

Un linguaggio anticonvenzionale
Il Novecento, dunque, è stato fortemente influenzato da questa corrente inarrestabile e assolutamente innovativa. Nella concatenazione degli eventi di cui è composta sia la storia dell’arte che il modo di concepire l’immagine determinato dall’affermazione dei nuovi media, è racchiusa la chiave per comprendere una modalità di rappresentazione ‘alternativa’ del mondo di cui è testimone Gianni Di Francesco, artista portatore di un pensiero che vuol essere personalissimo ed incisivo nella contemplazione delle scene urbane e paesaggistiche, probabile metafora di una dimensione interiore che in lui agisce profonda. A suo modo, Di Francesco è pittore di una cultura – diremmo impropriamente ‘figurativa’, ovvero di ‘figura’ nel senso letterale – di sintesi, dove si possono cogliere tutti quegli elementi fondanti che ne hanno determinato la formazione. Accanto alle tendenze futuriste si possono scorgere ‘tentazioni’ cubiste, visioni quasi dechirichiane di scene metafisiche dominate da uno spaesamento alienante dove l’uomo appare totalmente sostituito da una realtà automatizzata. L’uomo, certo. La sua assenza conclamata suscita in noi un moto d’inquietudine. Non ne riscontriamo, infatti, la sua traccia evidente, né la sagoma anatomica. Il mondo di Di Francesco è pervaso da un’atmosfera algida e ‘digitale’ che può far supporre un sopravvento della macchina che ha annichilito l’uomo stesso rendendolo non più indispensabile nel progresso contemporaneo. Esso non è più il protagonista indiscusso del vivere incessante o della quotidianità con i suoi sentimenti, i moti dell’animo o le azioni. La vita – o perlomeno ‘quella’ vita – può continuare a prescindere dalla sua etica, dalla morale o dal sistema di credenze. Un mondo già in essere oppure un inquietante presagio del nostro destino? Di Francesco sembra voler sollevare un enigma della contemporaneità, presagio di un possibile futuro. Perché l’arte è sempre specchio dei tempi anzi, ‘spirito’ del tempo e delle sue implicazioni antropologiche e, talvolta, sociali e politiche. L’arte non conosce confini perché segue i sentieri infiniti del Cuore e della Mente, due dimensioni non antitetiche ma complementari che non ammettono limiti davanti a sé per propria destinazione e natura. Se i tempi propongono inquietudini, timori o sinistri presentimenti, l’artista è colui che li coglie per primo anticipandone l’imminente evoluzione. Ecco perché il suo sguardo libero per noi è necessario ed imprescindibile per l’analisi di ciò che sta accadendo o potrebbe accadere.

Le visioni interiori
Ma, se per certi versi lo sguardo immaginifico di Di Francesco apre scenari post moderni che travalicano l’uomo stesso, dagli altri non si può non citare la sua capacità di creare armonie e dinamismi geometrici. Le semplificazioni formali così evidenziate attraverso il felice gioco di incastri fra piramidi, cubi, sfere e prismi, rivelano la peculiare caratteristica di un animo attento e sensibile che vuol lasciarsi condurre nell’incantevole magia delle infinite possibilità del reale o, in questo caso, di ciò che appare irreale perché non riconoscibile nell’oggettività cosiddetta ‘normale’ della quotidianità. Una sorta di meraviglia autentica che si percepisce distintamente e che ci coinvolge in questo progetto tutto mentale. E’ proprio il concetto di sinergia, intesa nel senso di ‘cooperazione’ di fattori anche non omogenei ad affascinare l’artista. Nel suo personalissimo mondo si cela questa fondante consapevolezza, ovvero di un legame continuo e costante di tutte le Cose in un magico incastro, nella sublime connessione che solo la Natura avrebbe potuto creare in maniera così compiuta. Se il progresso ha creato distanze, barriere e senso di alienazione fra gli individui – pur nell’epoca della grande comunicazione – è pur vero ch’esso ha aperto le porte a conoscenze un tempo impensabili. Oggi sappiamo con certezza che gli elettroni di cui è composta la materia sono in perenne collegamento, sono in qualche modo ‘informati’ tutti in egual misura delle trasformazioni della stessa aldilà del tempo e dello spazio. La fisica quantistica ci parla di atomi che sono divisibili in particelle che a loro volta agiscono mosse da un’energia cosciente, una sorta di Intelligenza cosmica. Di Francesco metabolizza quest’idea rendendo evidenti tali connessioni in ciò che appare un eterno movimento di elementi geometrici e figure stilizzate. Quella geometria e matematica che facevano dire a Pitagora che ‘Tutto è numero’ e a Sant’Agostino che ‘I numeri sono i pensieri di Dio’. Concezioni di epoche diverse che tuttavia sottintendono un medesimo significato di non-casualità ma, al contrario, di un processo dove ogni cellula anche infinitesimale ha un sua propria collocazione, sviluppo e trasformazione quale essenza della materia.

Le conclusioni
Sono molteplici, dunque, le intuizioni e le sollecitazioni filosofiche che questo artista propone dietro una pittura policromatica di ‘schema’. A suo modo, egli intende condurci al centro del suo pensiero in maniera diretta, senza inutili divagazioni nel fatuo. La sua non è pittura di superficie, di contemplazione naturale o di invenzioni pseudo realistiche. Di Francesco coltiva un suo linguaggio interiore ben chiaro senza tentennamenti, dove simbolismo e semplificazione trovano un ideale connubio. E, superati l’impatto e la meraviglia delle prime visioni, in quella misteriosa armonia siamo chiamati ad una lettura attenta ben consci che non vi sia alcuna casualità in nessuno degli elementi allogati nelle composizioni. Entriamo così in quelle costruzioni e scopriamo dettagli che paiono variare di volta in volta nel rapporto con la totalità. Si ha sempre l’impressione che qualcosa si sia aggiunto o sottratto rispetto alla visione precedente, nell’impossibilità per l’osservatore di memorizzare un ordine precostituito. Un’alchimia dell’insieme, potremmo dire, nel contesto di un percorso di conoscenza che è riepilogo di esperienze pregresse ora interpretate in chiave personale. Ci piace allora individuare scorci urbani, frammenti di natura, ipotetiche strade e tracciati, cieli, mari e architetture della mente. In qualche misura ci piace ‘giocare’ con l’artista a comporre e scomporre l’insieme, certi di riscoprire un dettaglio magari non raccolto in precedenza ed ora miracolosamente riapparso. Forse qualcosa ci è sfuggito e ci sfuggirà ancora. Ma, l’importante sarà ritornare con lo sguardo dentro l’unicità di questi fantasmagorici dipinti, nella certezza che nulla è davvero evanescente nel passaggio della nostra esistenza, ma tutto lascia una traccia e conserva un recondito significato nel misterioso disegno di un ipotetico Dio nascosto.

Giancarlo Bonomo